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Messaggio natalizio di Mons. Vescovo alla Chiesa di Castellaneta

 
MESSAGGIO NATALIZIO
ALLA CHIESA DI CASTELLANETA
 
 
«Se mille volte nascesse Cristo a Betlemme,
ma non in te, sei perduto per sempre»
(Angelus Silesius, 1624-1677)
 
Carissimi fratelli e sorelle,
 
          a Castellaneta, nel giorno della Festa di San Nicola, patrono della Diocesi e della Città, si ripete un antico proverbio: Ci nu buen Natel’ vuè fè da San N’col a cum’ngè! Ed è proprio vero. Dalla festa di san Nicola tutto inizia a tingersi dei colori propri del Natale e i più fervorosi si preparano per celebrare la Novena che, come da tradizione, si tiene in tutti i nostri paesi alle prime luci dell’alba, al canto delle antiche profezie.
 
          Ma quest’anno, un po’ ovunque, l’attenzione natalizia si è focalizzata su di un evento particolare: il praesepium realizzato da san Francesco d’Assisi a Greccio, nella Valle di Rieti, ben 800 anni fa, tramandando, così di fatto, «l’origine del presepio come noi lo intendiamo»[1].
Molto probabilmente di ritorno da Roma dove aveva incontrato Papa Onorio III ed aveva ricevuto l’approvazione della Regola per l’Ordine da lui fondato, il Santo di Assisi, con l’aiuto dell’amico Giovanni Velita, volle rappresentare la scena del Bambino nato a Betlemme, così da poter contemplare – in qualche modo – con gli occhi del corpo i disagi a cui fu esposto il neonato per la mancanza delle cose necessarie, di come fu adagiato in una greppia e di come giaceva tra il bue e l’asinello. L’esperienza di quella notte santa di letizia del 1223 fu indicibile. Accorsero, frati e fedeli, da ogni luogo con le fiaccole accese per illuminare le tenebre della notte e… sulla mangiatoia (praesepium) fu celebrata la Santa Messa – in cui lo stesso Francesco “cantò con voce sonora” il Vangelo e spezzò la Parola con “parole dolcissime sulla nascita del Re povero e la piccola città di Betlemme” -, per mostrare quel legame particolare tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e l’Eucarestia. E, quella notte, ciascuno se ne tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia.[2]
 
San Franceso a Greccio, imitando l’esperienza mistica della meditazione e della contemplazione natalizia vissuta nei Monasteri del duecento, volle superare la tradizione fino ad allora in voga. La quale era solita rappresentare la scena della natività, ricorrendo a tavole dipinte o a statue messe sull’altare o accanto ad esso o a sacerdoti-attori ed attori che, come è naturale evocavano davanti ai fedeli soltanto figure “umane”: oltre a Maria e al Bambino, Giuseppe, gli angeli, i pastori e i Re Magi.
Francesco volle consegnare ad elementi di contorno la rappresentazione visiva della natività, rifacendosi per alcuni di essi, come il bue e l’asino, ai Vangeli apocrifi, in particolare allo Pseudo-Matteo, affidandosi alla propria straordinaria capacità oratoria, evocata in modo così incisivo da tradursi, almeno per uno dei presenti, in una visione che risarciva il vuoto della mangiatoia.[3]
 
All’anniversario otto volte centenario di Greccio, Papa Francesco, attraverso la Penitenzieria Apostolica ha voluto concedere il dono dell’Indulgenza Plenaria a quanti, fino al 2 febbraio 2024, Festa della Presentazione del Signore, «visiteranno come pellegrini qualsiasi Chiesa francescana in tutto il mondo, in gruppi o singolarmente, e parteciperanno devotamente ai riti giubilari, o almeno sosteranno davanti al Presepio ivi preparato…»[4]. Mentre i fratelli anziani, infermi e quanti per grave motivo non possono uscire di casa, potranno ugualmente lucrare l’indulgenza plenaria dalla propria abitazione, con l’impegno ad adempiere le tre consuete condizioni appena possibile.
 
Nella nostra Chiesa diocesana sarà possibile vivere tutto ciò nella Chiesa del Convento “San Francesco” di Castellaneta.
 
Nel realizzare quel praesepium, san Francesco si era prefisso lo scopo di «intravedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato [quel Bambino] per la mancanza delle cose necessarie a un neonato»[5]. Sembra volersi immedesimare in quel pastore dei presepi che l’arte napoletana definirà come “l’Incantato o il Meravigliato”, con le braccia aperte ed il viso estasiato, ad esprimere appunto meraviglia, stupore e gioia nel guardare intensamente il Bambino di Betlemme. Ma nel luogo di quel Bambino, sulla mangiatoia, Francesco volle che ad incarnarsi fosse lo stesso Gesù che – durante la celebrazione eucaristica - viene a noi per darci la vita e darla in abbondanza, facendosi «pane vivo disceso dal cielo» (Gv 6,41).
 
Come la vista attenta e senza pregiudizi di Maria, di Giuseppe, dei pastori e dei Magi che si recano alla grotta e riconoscono “l’atteso dalle genti”, anche noi, con lo stupore e la delicatezza propri di san Francesco, dobbiamo continuare a prolungare quello sguardo che ci permette di accogliere l’evento di grazia del Natale che aiuta a scorgere la presenza di Dio nella vita dell’uomo, di cui ci invita a riconoscere l’inestimabile valore e l’infinito splendore.
In questo che è il Natale “al tempo delle grandi guerre armate” e dei più subdoli conflitti politico-finanziari per determinare un nuovo ordine del mondo, in cui la vita viene impunemente violata e traumaticamente strappata a migliaia di uomini e di donne di ogni età, dei quali la cronaca quotidiana ci riporta solamente il numero, privandoli dei volti, delle storie e dei nomi di ognuno di loro, rivolgiamo, sempre e di nuovo, i nostri occhi al Bambino di Betlemme deposto nella mangiatoia. Contempliamo con devozione quel Figlio di Dio che desidera, ancora una volta, rinnovarsi come nostro fratello, che da unigenito Figlio condivide il Padre con noi.
 
San Francesco, in quella Notte Santa del 1223, facendo rivivere il Vangelo, rese la mangiatoia altare e su di essa si celebrò l’Eucarestia, perché laddove gli animali mangiavano il fieno, si potesse mangiare il pane eucaristico, il Cristo che nell’Incarnazione si è fatto: «pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli»[6]. Il santo voleva un incontro reale con il Signore Gesù, consapevole che la contemplazione della povertà della mangiatoia, del bue e dell’asinello, della proclamazione del Vangelo della Natività si fondano nell’Eucarestia. Così che, quel “Gesù-vivo”, nato e deposto nella mangiatoia, si fa pane per noi, affinché anche noi diventiamo cibo per i fratelli, soprattutto quelli più piccoli, come: gli affamati, gli assettati, i forestieri, i nudi, gli ammalati, i carcerati… (Cfr. Mt 25 1,45). Perché a Natale abbiamo la possibilità di rafforzarci nella speranza, da vivere e da testimoniare.
 
Papa Francesco nella Lettera Apostolica Admirabile signum, sul significato ed il valore del presepe, notando che la rappresentazione della Natività è la bella tradizione delle nostre famiglie, definisce il presepe quale «mirabile segno…che suscita sempre stupore e meraviglia»[7].
Ed allora dinanzi alla semplicità di questo segno, di immediata comprensione ed «apportatore di salvezza per tutti gli uomini» (Cfr. Tt 2,11), siamo invitati a rimetterci alla scuola del “Vangelo-domestico” per ritessere i fili delle nostre relazioni, troppo spesso sfilacciate o lacerate da piccoli o grandi egoismi personali e a volte da insignificanti conflitti. La gioia e lo stupore del Natale chiedono a ciascuno di noi di impegnarci a far prevalere nuovi stili di vita che siano rinnovati dall’accoglienza e non dall’esclusione; dalla cura ed attenzione e non dall’indifferenza e dall’emarginazione; dalla crescita e non dalla sterile rassegnazione. Perché a Natale è Dio stesso, che si è fatto l’Emmanuel, il Dio-con-noi, disponibile ad includere ed abbracciare senza distinzione ed eccezione alcuna. Tutto ciò, però, esige sempre un cambio di mentalità: dalle logiche del possesso a quelle del dono!
 
A Natale, come da tradizione ci scambieremo gli auguri. Penso che sia l’occasione giusta per esprimere la bellezza e la verità del condividerli in una relazione autentica, attenta a farsi incontro nella realtà.
Ed allora, non cediamo alla tentazione facile e sbrigativa del virtuale. Cioè alla massificazione di un augurio, affidato ad un’immagine o un messaggio di testo spediti… attraverso un semplice click per mezzo di una lista broadcast dal nostro indirizzo WhatsApp o con un post sul nostro stato di Facebook, attendendo dei like o delle emoticon gratificanti. Ritorniamo alla bellezza della reciprocità diretta ed empatica. E, se vogliamo, vivere davvero il Natale, l’occasione degli auguri ci trasformi in “artigiani di pace”, per tutti quei micro o macro conflitti relazioni che oggi stiamo vivendo.
 
          Permettetemi infine un ultimo suggerimento per vivere con «grande gioia» il Natale.
È tradizione che per il pranzo del 25 dicembre le famiglie “si allarghino” e si cimentino in una bella esperienza di convivialità. Ma è davvero tale? Il rischio è che possiamo pur essere fisicamente riuniti intorno alla stessa tavola, uno accanto all’altro, ma continuamente connessi con l’esterno, attraverso i nostri smartphone. Allora, per lo stesso principio dell’invio degli auguri, perché non provare a spegnere o lasciare i nostri telefonini in un'altra stanza, in modo da sforzarsi di interagire davvero, gli uni con gli altri, rendendo bella e gioiosa la mensa? San Paolo ci suggerirebbe: «ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia». Convinti che la relazione con la persona che è al nostro fianco vale molto di più di ogni rapporto virtuale.
 
 
Buon Natale di nostro Signore Gesù Cristo a tutti voi!
 
 
Castellaneta, 22 dicembre 2023
 
 
+ Sabino Iannuzzi
Vescovo



[1] Papa Francesco, Admirabile signum. Lettera apostolica sul significato e il valore del presepe, 1° dicembre 2019, n. 2.

[2] Cfr. Tommaso da Celano, Vita Prima, 84-87: Fonti Francescane 466-471.

[3] Cfr. Chiara Frugoni, Il presepe di san Francesco. Storia del Natale di Greccio, Società editrice il Mulino, Bologna, 2023, pagg.27-41.

[4] Penitenzieria Apostolica, Indulgenza plenaria, 14 novembre 2023.

[5] Tommaso da Celano, Vita Prima, 84: Fonti Francescane 468.

[6] Sequenza Corpus Domini.

[7] Papa Francesco, Admirabile signum, 1.

Fonte: Diocesi di Castellaneta

 

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