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Primo saluto alla chiesa di Catania dell’Arcivescovo eletto, Mons. Luigi Renna

Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa che è in Catania,
 
pur non conoscendo ancora i vostri volti, fiducioso nel Signore che ci fa camminare alla Luce del Suo Vangelo, mi rivolgo a voi già chiamandovi fratelli e sorelle. Non si sentano esclusi da questo saluto coloro che non hanno la nostra stessa fede in Gesù Cristo o appartengono ad altre Chiese: li sento compagni di cammino, e sono desideroso di cercare sempre ciò che mi unisce a loro.
 
Il mio primo affettuoso saluto va a te, caro fratello Arcivescovo Salvatore: ti ho sentito telefonicamente in un mattino carico di Luce, il giorno dell’Epifania, e hai subito messo a suo agio questo giovane pastore che chiama per la prima volta un suo fratello maggiore. Cara Eccellenza, caro don Salvatore, ci attende un cammino di comunione che sarà il più bell’annuncio di quello che è capace di “fare” il Vangelo nella vita degli uomini!
 
Non sono mai stato a Catania, e mi sento come Abramo che lascia la sua terra per andare verso un luogo totalmente inesplorato- tranne che per le tante letture degli scrittori siciliani che mi hanno affascinato fin dagli anni del liceo - nel quale il Signore lo precede e gli prepara il cammino con un popolo di fratelli e sorelle. Alcuni giorni fa commentavo alcuni testi della Genesi (12,7-9; 13,18) per la celebrazione del matrimonio di due cari amici che sono convolati a nozze in età matura, e notavo che Abramo dovunque andasse piantava una tenda e costruiva un altare. “Costruire una tenda”, cioè abitare con i fratelli, accolti sotto quegli spaziosi teli dei nomadi, che lì hanno tutta la loro vita ospitale; e “piantare altari” a gloria di Dio, sapendo che ogni luogo che è sotto il cielo è sotto lo sguardo del Padre, proprio come mi insegnava mia mamma nella prima preghiera che mi ha insegnato: “Dov’ è Dio? In cielo, in terra e in ogni luogo”. Tende e altari disseminano la vita di un credente, forse di ogni uomo, certamente di un presbitero e di un vescovo: le mie radici nel mio caro paese natale, Minervino Murge; gli anni di formazione e di ministero in Seminario e in tanti ambiti pastorali nella mia cara Andria; la “tenda” del Seminario Regionale di Molfetta, che è vasta come la Puglia; i sei anni della Chiesa di Cerignola-Ascoli Satriano, impegnativi e stupendi; le Chiese sorelle di Puglia con i miei cari Confratelli Vescovi. Quanti volti, quante storie, quante situazioni che mi hanno visto più discepolo che maestro! In ciascuno di questi luoghi ho piantato la tenda, l’ho poi levata, ma è rimasto “l’altare” della gratitudine al Signore e i legami della fraternità.
 
Perché partire ancora? Per fede! Come Abramo. E per un senso di responsabilità nei confronti di quella promessa che facciamo nel giorno dell’ordinazione, sostenuta da verità che mi è rimasta fissa nel cuore al termine del mese ignaziano, quando padre Armando Gargiulo mi consegnò questa semplice frase dell’Imitazione di Cristo: “Dove c’è obbedienza, c’è grazia”. Solo così si può accogliere con discrezione ogni nuovo progetto di Dio, come insegna sant’ Agostino: “Se la santa Madre Chiesa esige una vostra cooperazione, non dovete né accogliere la richiesta con avidità orgogliosa, né respingerla con pigrizia. Non anteponete la vostra tranquillità alle necessità della Chiesa” (Ad Eudossio, Epistola 48).
E allora, mi avvio verso di voi, cari fratelli e sorelle della Diocesi di Catania, con la “sarcina” del Vescovo, come la chiamava lo stesso Agostino, semplice e rammendata come quella che i nostri braccianti portavano nei campi e nella quale avevano tutto ciò che serviva al loro sostentamento: nella mia c’è la Parola di Dio, c’è il Pane che genera comunione, ci sono i volti delle persone a cui sono grato e che mi hanno insegnato, nonostante i miei limiti, ad essere almeno un po’ pastore. In questa “sarcina” c’è posto per tutti, perché il Signore dilata il cuore di coloro che chiama perché possano essere fratelli e pastori. Non si può non far proprio il programma di vita che don Tonino Bello intravide in Sant’Oscar Romero, quello di “un vescovo fatto popolo”: è la “forma” dell’episcopato che il Signore ha sempre voluto, quella che il Concilio Vaticano II ha indicato e che viene messa in luce anche grazie al cammino sinodale che abbiamo intrapreso.
 
Un caro saluto a ciascuno di voi, considerati “ultimi” secondo logiche umane, ma che nel Regno di Dio che avanza lentamente nella storia siete i primi: voi poveri, voi uomini e donne che approdate dall’Africa sulle coste della Sicilia, voi che siete in carcere, soprattutto se siete giovani che si sono visti rubare il tesoro della loro età; voi anziani che forse vi sentite ai margini in un mondo così frenetico. Un pensiero fraterno a chi ha perso una persona cara per covid: vi sento molto vicini per aver vissuto la stessa esperienza di un distacco in cui non abbiamo potuto regalarci gesti di affetto: la fede vi sostenga! C’è spazio per ciascuno di voi nella mia “sarcina” di vescovo!
Un caro saluto a voi, battezzati tutti, che siete chiamati a riscoprire che in verità la sarcina del vescovo è quella di tutta la Chiesa, nella quale il vero protagonismo si chiama corresponsabilità e che ha ricevuto nei Sacramenti dell’Iniziazione il mandato di “crismare” il mondo, e nei carismi dell’associazionismo la missione di prendersi cura di tutto ciò che è umano. Un abbraccio a voi giovani credenti, forse inquieti per i dubbi dell’età e i timori del futuro, ma così capaci di “piantare tende e innalzare altari” soprattutto tra i vostri coetanei. Ci aspetta un cammino intenso, cari uomini e donne del volontariato, artigiani del vero nome della pace che è la solidarietà, per soccorrere e far crescere la nostra gente.
Un abbraccio a voi cari presbiteri, che nel dono dell’ordine sacro avete ricevuto anche il servizio dell’ascolto e nel celibato ecclesiastico una casta paternità e fraternità: la conversione alla sinodalità darà fecondità al nostro ministero e aprirà strade nuove all’evangelizzazione. Mi sentirò a mio agio con voi, cari giovani seminaristi, alla cui formazione ho dedicato vent’anni circa della mia vita, con una semplice traiettoria da seguire, quella che il Concilio Vaticano II ci indica, in toto. Guardo con gratitudine a voi, cari Rettore ed Educatori del Seminario e docenti della Facoltà, corresponsabili con me della qualità della formazione dei futuri presbiteri. Grazie semplicemente di esserci, care religiose e cari religiosi: con i vostri carismi siete un grande dono per la Chiesa! Fedeltà alla vostra vocazione e rinnovamento saranno ancora le grandi risorse che potrete offrire a tutto il popolo di Dio!
 
Saluto con rispetto e cordialità voi, uomini e donne del bene comune, organizzatori della speranza, architetti della pace e della giustizia: Prefetto, Magistrati, Sindaci, Amministratori e Consiglieri, uomini e donne delle Forze dell’ordine e voi che nei Sindacati siete le sentinelle della giustizia sociale. La terra di Sicilia, come la mia Puglia, ha avuto tante ferite inferte dalla illegalità che ha seminato povertà e morte, ma è anche terra di uomini e donne tenaci e capaci di versare persino il sangue – sono loro gli autentici continuatori della santità della Martire Agata!- per la giustizia, la legalità, il futuro dell’Isola. Poiché è tristemente vero che la “questione morale” non è ancora finita nella nostra Repubblica, sappiate che nella Chiesa etnea troverete ancora chi è disposto a fare rete per cammini virtuosi, che rendano il nostro Paese degno di quella Costituzione così armoniosa e bella che anche uomini nati in Sicilia hanno contribuito a pensare, e molti altri hanno contribuito far fruttificare con il loro sangue. Il mio pensiero grato va a coloro che operano nel mondo della Sanità e che stanno facendo tanto per affermare che la scienza, alleata della fede e della responsabilità, può farci uscire da questo tunnel che fa strage ancora nel nostro Paese e in quelli che non possono permettersi un vaccino, un ospedale, un’ambulanza. Coraggio e buon lavoro! Infine un saluto speciale al mondo stupendo dell’Università e della scuola, quello a cui vorrei tornare, al quale mi sento connaturalmente vicino: saluto con deferenza il Rettore e tutta la comunità accademica, docenti e studenti, che con il loro impegno culturale qualificano il presente e il futuro di Catania. Abbraccio insegnanti e alunni delle scuole di ogni ordine e grado: quanto c’è di bello e vero nel mondo nasce tra i banchi di scuola, con il paziente lavoro di docenti, tra libri e quaderni, con la voglia di vivere di ragazzi e giovani, come ci ha insegnato quel maestro di vita che è stato il professore di Ravanusa.
 
E’ un bel tempo questo per essere cristiani: nonostante le sofferenze della pandemia, i lutti e gli sconvolgimenti che tutti abbiamo vissuto e che continuano, stiamo sperimentando la bellezza di camminare insieme: papa Francesco, a cui va il mio grazie per la fiducia ancora una volta accordatami, ci indica una strada che vogliamo continuare a percorrere, quella di chi si sente fratello di tutti, sulla stessa barca agitata dai marosi, e che vive la stagione stupenda del cammino sinodale, impegno primario nei prossimi anni.
 
Sia questo saluto rivolto a tutti il mio primo segno di affetto e di sinodalità. Maria Madre della Chiesa e san Giuseppe, la martire Agata con la sua testimonianza che ci sollecita a scoprire come essere testimoni nel nostro tempo, ci accompagnino con la loro intercessione: vi sto affidando da tempo a loro e voi fate altrettanto per me. Lo Spirito Santo ci guida e ci precede, per costruire e abitare con i fratelli tende ospitali e fare dei nostri cuori dei limpidi altari.
Un abbraccio e la mia benedizione!
 
+ Luigi Renna
Arcivescovo eletto di Catania
 
Cerignola, 8 gennaio 2022
 

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