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Omelia per la prima Messa al Santuario di don Giovanni Nigro

Omelia per la prima S. Messa di don Giovanni NIGRO

Laterza, 24 giugno 2018

 

Non teme la Chiesa nella sua bimillenaria sapienza educativa, di far celebrare per ben due volte nel corso dell’anno liturgico le opere che Dio ha meravigliosamente compiute nel suo servo Giovanni, il Precursore. Né ha timore di chiamare i fedeli a celebrarne le lodi anche quando – come accade quest’anno – la festa della sua beata natività cadesse di domenica, nella certezza che parlare di lui null’altro significa che parlare di Cristo stesso, Signore di questo giorno. La pedagogia liturgica, infatti, sa bene che la festa di oggi non scalfisce in nulla quello che è il proprium dominicale, poiché si fonda sul programma di vita fatto proprio dal Battista: oportet illum crescere, me autem minui.

Se dunque, di lui parliamo oggi è perché sappiamo bene che parlare di lui, in fondo, è parlare di Cristo stesso.

Infatti!

Di Cristo Giovanni fu il precursore – è ben vero – cioè colui che va dinnanzi, ma nonostante questo egli seppe sempre attendere per camminargli appresso, qualche passo indietro; diceva infatti: Viene dopo di me uno che era prima di me (cfr Gv 1, 15). E quando se lo vide in ginocchio nell’acqua del Giordano per essere battezzato, si ricordò di aver detto: Io non sono degno neppure di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali (cfr Gv 1, 27). E il giorno in cui se lo vide passare davanti, distolse prontamente lo sguardo dei suoi discepoli da se stesso e li spinse a guardare verso il vero atteso delle genti, colui che avrebbe portato sulle sue spalle il peso del peccato di tutto il mondo: Ecce Agnus Dei (cfr Gv 1, 29).

Così come accade qui al mattino tante volte in occasione della celebrazione dei matrimoni, anche quando giunse lo sposo promesso al popolo santo - che i profeti avevano preconizzato per secoli – questi non giunse solo. Egli portò con se come paraninfo un fratello, un amico, un testimone.

Un fratello: non solo per i legami di sangue che intercorrevano fra i due, ma per quella continuità umana e di fede che accomunava il profeta e l’atteso; entrambi figli della nostra umanità, entrambi mandati per la nostra umanità (ex hominibus assumptus, pro hominibus constitutus, come ricorda la lettera agli Ebrei - Eb 5, 1 - del sacerdozio di Cristo e, in fondo, anche del nostro sacerdozio!). Essi erano, peraltro, fratelli di fede, accomunati dal credo di un popolo che sperava fermamente nelle promesse di un Dio, il quale non viene meno alle sue parole.

Un amico. Ma non di quelle migliaia che si fanno con un “click” o un “I like”. Gli antichi insegnavano: amici nomen commune, rara fides. È solo la fedeltà che si perpetua nel tempo che può trasformare un conoscente qualunque in un amico. Non a caso, un motto popolare afferma che per poter dire di conoscere una persona è necessario aver prima mangiato assieme almeno un quintale di sale. Così fu per il Precursore: sempre e comunque amico fedele di Cristo (e non semplicemente un compagno di giochi, come un certo filone iconografico devoto ha amato tante volte raffigurarceli), fedele sino a diventare un testimone.

Un testimone. Figura ben strana - in questo - il Battista. Perché un testimone è uno che è stato presente, ha visto. Dunque sa; e può in seguito raccontare. San Giovanni fu testimone prima e non dopo; effuse il suo sangue prima di quello del Cristo perché la caratteristica di “precedere il Messia” potesse essere totale e perfetta, anche in questo.

Ecco spiegato perché in un giorno tanto grande, come è la domenica, la Chiesa non dubita di presentare il Battista, perché sa che come la bruma del mattino scompare all’apparire del sole, così oggi guardiamo a San Giovanni, ma in realtà vediamo il Cristo.

Questo è quello che la Chiesa, caro don Giovanni, si attende dal tuo sacerdozio: guardare a te, ma in realtà vedere il Cristo stesso. Guardare a te, e vedere in te un fratello, un amico, un testimone di Cristo; un fratello, un amico e un testimone per i credenti in Cristo.

In un giorno così importante presiedi, per la prima volta, l’Eucarestia in questo luogo che ti ha visto crescere e che per te significa certamente tantissimo. Gli inizi del tuo sacerdozio, però, siano segnati da grande maturità. Sii pronto a dimenticare presto gli applausi delle ultime 24 ore. Infatti, è quando sarai chiamato a presiedere l’Eucarestia dove tu non avresti mai pensato di andare, là dovrai cercare e trovare la forza di restare amico, fratello e testimone del Signore. Quando di fronte ai pochi che avranno per te parole di elogio (e qualche volta anche interessate) ci saranno tanti pronti a ironizzare sulla tua vita sacerdotale o a disprezzare le tue scelte, allora dovrai dimostrare di esserti mantenuto fratello, amico e testimone del Signore. E se un giorno accadesse che la stessa Chiesa, da madre qual è, tuttavia ti apparisse nei panni di un matrigna, là noi contiamo sul fatto che saprai restare un fratello, un amico, un testimone di Cristo.

Fai come fece Maria, la quale – ne sono certo – dimenticò presto il canto degli angeli della notte del Natale o il frastuono del pomposo corteo dei Magi. Prendi ad esempio la Vergine Madre che accompagnò sempre il Figlio, anche dove non avrebbe mai pensato di andare. Fai come fece Lei, quando subito fu costretta a partire per una terra lontana e sconosciuta.

Narra una leggenda che mentre la Santa Famiglia fuggiva in Egitto (l’ingenuo pennello del pittore Capocelli nel secondo quarto del secolo XIX ci ha lasciato una istantanea di quell’evento nella tela che orna la controfacciata di questo tempio) la Madonna chiese a Giuseppe di fermarsi per poter allattare il bimbo affamato. Il ragazzo legò l’asino, aiutò la moglie a scendere, la fece sedere sull’erba morbida al fresco di una palma. Ma, nel frattempo, il piccolo affamato cercava avidamente il seno materno e vi si avvinghiò facendone stillare il latte divino. Dirò per inciso che (come ricorda una splendida tela di Paolo Caliari detto il Veronese) lo stesso Sant’Agostino si interrogava se venisse più sapienza dal sangue di Cristo o dal latte di Maria. Ora, perché quel latte non rischiasse di cadere e disperdersi nel terreno, una pianta che era lì accanto stese prontamente le sue foglie e raccolse il latte che vi cadde sopra. Da quel momento, le foglie di quel vegetale restarono per sempre striate di macchie bianche. Quella pianta fiorì miracolosamente all’istante e fece un fiore completamente coperto di spine, coronate da infiniti pistilli violacei, quale richiamo allo spirito di umiltà e di penitenza che contraddistinse sempre la vita di Maria.

È il fiore del cardo, che tu hai voluto che fosse rappresentato sulla tua casula e che oggi orna copiosamente questo altare; è il fiore che nella sua versione stilizzata i locali maiolicari hanno rappresentato infinite volte sui loro pezzi sino a far sì che oggi la produzione scientifica in materia sia giunta a ribattezzarlo col nome di fiore di Laterza.

Porta, dunque, sempre nel tuo cuore questa grande verità, caro don Giovanni: se il Signore vorrà affidarti compiti gravosi, e forse anche carichi di sofferenza, non mancherà però di assicurarti la sua grazia per portarli a compimento. Porta sempre nel tuo cuore un tenerissimo amore per la Vergine Santa e non stancarti mai di cercarne lo sguardo, con la stessa ansia con cui ogni anno, al mattino del 18 maggio, corriamo qui cercando di vederla subito allo spalancarsi del portone.

In quegli occhi potrai scorgere il mare immenso della misericordia di Dio. Sono gli occhi della Madre della misericordia, della vita, della dolcezza, della speranza nostra. Sono gli occhi di Colei che fu la più bella delle creature perché pensata fin dall’eternità per essere la madre del più bello tra i figli dell’uomo, Gesù Cristo, figlio di Dio benedetto, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

Auguri!

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