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Omelia per la prima Messa al Santuario di don Antonio Cristella

Omelia per la prima S. Messa al Santuario
di don Antonio CRISTELLA
Laterza, 17 giugno 2018
 
Nell’archivio storico della Chiesa matrice di Ginosa si conserva una serie archivistica particolare. Si tratta di prediche anonime manoscritte la cui grafia farebbe risalire la loro datazione al principio del sec. XIX, utilizzate con molta probabilità dal clero dell’epoca nelle varie ricorrenze festive. Tra tutte attrasse il mio interesse di giovane studente che preparavo la dissertazione per il baccellierato in Sacra Teologia una di queste – la Predica sulla Divina Provvidenza - il cui incipit così recita:
Fra quanti sono i più infiniti rispettabili attributi di Dio, niuno ve ne ha forse che sofferto abbia dagli uomini, soffra tuttora maggiori offese, quante per avventure da loro ne riceve la sua adorabile divina Provvidenza.
Quel testo, con le forme del suo tempo, afferma che la distanza fra i disegni di Dio e i progetti degli uomini a volte è tanto grande che la incommensurabilità finisce agli occhi umani per trasformare la distanza in distacco, se non addirittura in odio e in disprezzo da parte dell’uomo nei confronti del volere di Dio. Il quale, in realtà, agisce solo ed esclusivamente per il bene delle sue creature, anche quando queste ultime sembrano non rendersene affatto conto.
Anche la liturgia domenicale odierna ce ne riferisce, facendo ricorso al ritrovato letterario del paradosso, alle apparenti contraddizioni. Essa si apre con pochi versetti tolti dal cap. 17 di Ezechiele, testo nel quale è riportato un oracolo del profeta che si fa portavoce di una promessa di riabilitazione da parte di Dio nei confronti del popolo eletto di Israele. Questa idea è espressa con il ricorso ad alcune immagini tratte dall’esperienza agricola, in questo caso anzitutto alla tecnica della talea, che consiste nel prendere un ramo di un vegetale e metterlo a dimora perché possa vivere di vita autonoma e riprodurre così la pianta da cui proviene. Non solo. Il testo profetico aggiunge alcuni particolari che illuminano ulteriormente le vicende di tale ramoscello che diventerà albero; dice che sarà tanto maestoso - da semplice rametto che era – da divenire ricettacolo per tutti gli uccelli del cielo ed avrà rami così grandi da fare ombra a tutti gli altri alberi circostanti che dovranno così riconoscerne la grandezza.
Così è l’agire di Dio, conclude il profeta: umilia l’albero alto e innalza quello basso; fa germogliare il secco e fa seccare quello verde e rigoglioso (come non ricordare i versi del Magnificat: deposuit potentes de sede, exaltavit humiles…? Cfr Lc 1, 52)
Ora…perché accade tutto ciò? Perché Dio è un inguaribile capriccioso? No, certo. Piuttosto perché chi presume non possa più presumere e chi dispera possa essere consolato e ritrovare la via della speranza. Anche nel Vangelo questa verità viene espressa con riferimenti al mondo agricolo, con la similitudine del granello di senape che, pur essendo il più dimenticato dei semi a motivo della sua piccolezza, tuttavia da Dio riceve il dono di diventare la più grande delle piante dell’orto. Questo esempio evangelico, connotato dalla forte contraddizione – piccolo/immenso – è preceduto da un’altra similitudine che ha direttamente ad oggetto il mistero della Provvidenza di Dio, il quale non solo mette il seme nella terra (anzi, lo sparge a piene mani senza preoccuparsi troppo se un po’ di esso dovesse perdersi tra le spine o sulle pietre o per strada), ma si preoccupa di curarlo anche senza che l’uomo se ne renda conto (dorma o vegli, di giorno o di notte…come egli stesso non lo sa; cfr Mc 4, 27-28) perché il seme cresca e faccia frutto.
Tutto ciò illumina particolarmente il senso della circostanza odierna, caro don Antonio, giorno in cui per la prima volta presiedi la santa messa in questo nostro Santuario, tornando ad affidarti a Maria, madre della Chiesa, madre dei pastori, madre di ogni laertino. Oggi il testo evangelico ha parlato al cuore di ogni credente e non può, come è evidente, non aver parlato anche al tuo perché questa grande verità che riguarda l’esistenza di ciascuno di noi riguarda – evidentemente – anche la tua esistenza sacerdotale.
Infatti, non puoi non riconoscere anche tu che quello che oggi porti all’altare è non solo l’effetto della tua buona volontà, della tua diponibilità, delle tue capacità. La vocazione non è una semplice chiamata, che può anche restare senza una risposta fattiva e operosa; non è uno sterile appello, come quando a scuola si risponde – ancora addormentati - presente! Affatto. La vocazione, la chiamata di Dio esige che gli si corrisponda con la stessa attitudine paziente del contadino il quale non si limita a nascondere il seme nella terra aspettando poi di tornare per raccogliere il frutto a suo tempo, a fine stagione. Questa fu l’illusione del povero Pinocchio, a cui il gatto e la volpe avevano fraudolentemente suggerito di seminare gli zecchini (frutto della fatica del povero Geppetto) nella buca scavata nell’orto dei miracoli, rassicurandolo del fatto che al mattino seguente avrebbe trovato un albero carico di monete di oro. Nella vita cristiana, invece, non è così; e non può essere così. Il divino agricoltore ci ha dato l’esempio: non solo ha messo a dimora il seme nella terra della nostra (spesso arida) umanità. Ha fatto anche tutto il possibile perché nulla di veramente importante – nulla di veramente importante, non cose di contorno! -  dovesse mancare a quel seme per poter germogliare e crescere, anche quando noi stessi non ci rendevano conto di ciò che accadeva. Questo è il mistero della Provvidenza di Dio. E credo che tu sia fermamente convinto, don Antonio, che questa opera di Dio ha lasciato i suoi segni anche in te. Sai bene infatti che nel corso dei lunghi anni della formazione, se non ti sono mancate le prove, non sono venuti meno neppure i segni della consolazione di Dio.
Cosa, dunque, è messo oggi nelle tue mani? Da qualche giorno sei stato rivestito di una altissima dignità che non è certo un premio per i tuoi presunti meriti. Da qualche giorno è stata messa nelle tue mani l’enorme responsabilità di proseguire l’opera evangelica di chi cura il seme deposto nel campo. A immagine del Signore, contadino celeste, e proseguendo nella sua stessa opera per perpetuarla nel tempo e nello spazio fino al giorno in cui a lui piacerà di tornare, ora nelle tue mani è messa la semente più preziosa dell’opera della grazia con cui Dio prolunga la sua presenza nel mondo.
Ora nelle tue mani è messo lo stesso Figlio di Dio fattosi carne. La stessa carne che Maria generò, partorì, allattò, cullò, lavò, baciò, accarezzò, coprì, curò, scaldò….seppellì. Quella e non un’altra carne è messa nelle tue, nelle nostre mani. Non far cadere mai questo dono per terra rendendo così vana in te l’opera di Dio. Quando sarai tentato di stendere le tue mani per accogliere ciò che non è secondo Dio; quando sarai tentato di chiudere i tuoi pugni invece di aprirli verso gli altri; quando sarai tentato di girarti i pollici annoiato o di mettere le braccia dietro la schiena deluso anche da una Chiesa che sembrerà non capirti, tu allora ricordati delle mani di Maria, la quale non lasciò mai cadere per terra la carne del suo Figlio e ad imitazione di Lei (per quel poco che possiamo esserne capaci) continua a stringere il dono più bello che ti è stato fatto per donarlo ai fratelli.
Fai come la Mater Domini che – a differenza di quelle divinità orientali che hanno tante braccia per poter arrivare a tutto – ha solo due mani, come ciascuno di noi. Con una regge il Figlio e con l’altra lo indica, per sottolineare col gesto il suono delle sue più lapidarie parole: Fate quello che lui vi dirà (cfr Gv 2, 5). Erano, quelle parole, l’eco di parole che suo Figlio non aveva ancora pronunciato: Padre non come voglio io, ma come vuoi tu (cfr Lc 22, 43).
Il sacerdozio, Antonio, è solo questo. Il resto è fardello umano.
È questa la nostra speranza e la nostra preghiera per te. Amen.
Auguri!

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