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La Cripta del Santuario ... Scrigno di bellezza

LA CRIPTA DEL SANTUARIO MATER DOMINI

Scrigno di Bellezza

Prof. Vito Leonardo Spinelli

 

19 marzo 2023

Riapertura al Culto della Cripta

del Santuario diocesano

Maria SS.ma Mater Domini

 

 

Il seicento fu, per l’Italia e l’Europa tutta, un secolo di guerre combattute in nome della fede. Fu il secolo della attuazione della controriforma cattolica, un movimento con cui la Chiesa organizzò un insieme di iniziative utili per riconquistare la centralità politico-religiosa e riaffermare la propria autorità.

Anche le immagini sacre di questo periodo, pensate come strumento di risposta al protestantesimo, assunsero un ruolo di grande importanza nel ricondurre il popolo alla dottrina cattolica, toccando direttamente l’animo e i sentimenti di ogni credente, attraverso raffigurazioni evocative e grandiose.

Laterza, nel suo piccolo, viveva in quell’epoca un forte slancio artistico (e di riflesso anche economico) nella produzione ceramica, come ci testimoniano le numerose maioliche rinvenute e custodite anche all’interno del nostro Santuario.

L’economia era controllata dalla famiglia d’Azzia, che riscuoteva indebitamente dai laertini. Paolo Tria lavorava per il Marchese come massaro, cercando di garantire alle pecore del signore le cure ed il cibo necessario, anche quando le situazioni climatiche erano avverse, come accadeva nel marzo 1650.

Fu allora che Paolo, in preda all’angoscia per la situazione stentata del suo gregge e per le minacce del signore, cercò scampo da tutto e scappato fuori dal paese non esitò ad entrare nella fenditura morbida della roccia tufacea in una grotta dove - fra erbe infestanti e l’umidità aumentata dalla “copiosa nevicata del marzo 1650” - era in completo degrado e abbandono un’immagine bizantineggiante di Santa Domenica Ciriaca del secolo XII.

Quell’antro oggi è la cripta del Santuario Mater Domini, che deve la sua identità e la pregnanza spirituale a quell’episodio le cui origini – che pure si perdono nell’antica memoria dei laertini – restano vive nel cuore di ciascuno come si trattasse del racconto di una vicenda personale.

La cripta è solitamente l’ambiente destinato al culto delle reliquie, resti mortali di coloro che vengono riconosciuti come martiri e santi o, più in generale, di oggetti che sono stati a contatto con la loro persona. È, quindi, un luogo di silenzio, di incontro e di profonda riflessione spirituale. Eppure questo luogo semisotterraneo non custodisce reliquie di nessun martire, di nessun santo, ma ancor più: come la storia ci narra, in questo luogo dimenticato negli anfratti rocciosi è rifiorita la “vita”.

Infatti, una “Donna” maestosa e splendente apparve a quel povero uomo illetterato, che scosso da un turbinio di emozioni, si prostrò ai suoi piedi ammutolito. Ella lo confortò, rassicurando protezione al suo gregge e alla sua vita.

Non è magia, neppure fantasia, ma esperienza intima di un atto di fede che solo il pover uomo, esasperato dal Marchese, poté sperimentare.

Le sue mani nodose strette al petto, rassegnato ad un destino crudele, venivano sollevate dalla Gran Madre di Dio che con attenzioni materne ne consolava e temprava il cuore.

La neve, la grotta, la luce; tutto cominciò così, con un segno intimo per Paolo, ma che ben presto portò la Sacra Immagine della Madre di Dio ad essere venerata ed invocata dai concittadini e dai devoti dei paesi limitrofi.

Ogni volta che varchiamo l’ingresso della cripta, ci immettiamo nel luogo sacro per eccellenza di tutta la nostra cittadina, entriamo materialmente in contatto con la storia di Paolo e condividiamo i suoi stessi passi e i suoi stessi timori.

L’entrare non è soltanto una semplice azione, ma passare dal “mondo del peccato” in un “luogo di salvezza”.

Questa bellissima storia, che non è finita, ovviamente, con la morte di Paolo, è narrata negli archivi locali e incisa sulle pietre e sui muri che oggi ammiriamo, riportati a nuova luce.

Nella cripta del Santuario Mater Domini, uno spazio strepitoso pieno di affreschi e di “laudi” a Maria, la storia del nostro sant’uomo è raccontata, in posizione preminente, in una vetrata coloratissima che durante le ore della giornata illumina l’ipogeo profuso di preghiere.

Nel corso del XX secolo questa cripta è stata oggetto di ampliamento e di molteplici interventi; fu anzitutto rinnovata con la realizzazione di pilastri in blocchi di carparo, una calcarenite, formata da granuli finissimi, che disegnano così una pianta a tre navate, scandite da campate su cui si innestano le splendide volte affrescate.

È un piccolo scrigno sotterraneo arricchito inoltre da venti esedre affrescate che delimitano le pareti delle navate e intendono raccontare una devozione e una venerazione locale e universale.

Con questo spirito, nel 1942 circa, viene affidata al pittore di origine friulana, Giuseppe Ciotti, l’esecuzione, secondo l’antica tecnica pittorica dell’affresco, dell’intero programma decorativo in cui trovano posto anche le venti lunette che raccontano la vita di uomini e di donne, servi di Dio: Sant’Agostino, San Giovanni, Sant’Agata, San Benedetto, San Rocco, San Sebastiano, San Vito, San Nicola, San Paolo e San Francesco…e tanti altri.

La presenza di Ciotti a Laterza è dovuta al confino, cui fu condannato durante il periodo della Resistenza. Il giovane artista, oltre che a dedicarsi alla pittura ad affresco, fu anche illustratore. Durante la Grande guerra, in cui si arruolò come artigliere, realizzò una serie di collage che raccontavano i fatti bellici con ritagli di giornali, italiani e stranieri.

La sua formazione si svolse nell’ambiente romano e fu arricchita dalla vicinanza a grandi artisti come Giorgio De Chirico e Carlo Levi, che rinsaldarono in Ciotti la concezione della pittura come ricerca del vero e come fedeltà alla grande tradizione pittorica classica italiana; fu poi particolarmente attratto dalla tecnica ad affresco.

La sua permanenza a Laterza fu preziosa e apprezzata, perché nella realizzazione degli affreschi della cripta tracciò, sopra una intonacatura di calce fresca composta di un impasto di malta, il disegno dei volti, delle gesta e dei simboli che hanno reso celebri la vita dei singoli Santi.

I lavori si svolsero probabilmente per circa tre anni (dal 1942 al 1945). Durante le stesure giornaliere, Ciotti fu affiancato anche da un fanciullo laertino, Nunzio Cafaro, che non solo apprese dal pittore la tecnica figurativa, ma fu ispirato nelle sue scelte personali, visto che diventò anch’egli pittore e docente di arte e immagine presso i locali istituti secondari di primo grado.

L’esito dell’estro creativo del Ciotti si può ammirare ancora oggi: quando ci si reca nella cripta, la prima impressione che si ha, ad uno sguardo d’insieme, è quella di essere entrati in una dimensione immateriale, al centro di un cosmo dominato dal colore blu cobalto, che disegna il contorno di splendide stelle e di delicati angeli che sorreggono “invocazioni” a Maria.

Il blu scende dall’alto delle volte e ricopre ogni singola vela avvolgendo l’osservatore e sviluppando il racconto della vita di Maria, che si estende lungo tutte le arcate delle navate per registri.

Alternate, sulle superfici dei piedritti, entro strette lesene binate, si slegano singole decorazioni floreali che impreziosiscono le architetture portanti.

La grotta, anfratto nelle viscere della terra, diviene così scrigno di estrema bellezza visiva e di prominente significato devozionale.

Fu forse il rettore del tempo, don Pasquale Scarati, che suggerì i contenuti teologici nella scelta iconografica e iconologica, indicando all’artista Ciotti un programma raffigurativo che avesse come temi teologici i dogmi mariani, le scene della vita di Maria, le litanie lauretane e - presso le voltine dell’altare maggiore – le strofe dell’antico inno gregoriano dell’Ave Maris Stella. Se così è stato probabilmente non lo sapremo mai!

Per certo, le superfici della Cripta si presentarono a Ciotti come un compito non solo di fede, ma anche di coraggio. Di fede, perché si trattava di delineare il ruolo fondamentale della Madonna nella storia della salvezza accanto a Cristo; di coraggio, perché raccontare pittoricamente la Vergine nel suo aspetto biblico e teologico richiedeva un’ardua scelta iconografica.

Ciotti cercò di affermare la propria autonomia creativa, raffigurando la Vergine con volto sereno entro semplici ambientazioni domestiche, donando così alle scene un forte senso realistico.

Secondo gli insegnamenti della Chiesa i dogmi mariani definiti ufficialmente sono quattro, ma l’artista sceglie di raffigurarne soltanto tre. Sulle volte nella navata che porta dall’ingresso all’antico altare di San Girolamo, entro i riquadri delle campate, si osservano l’Annunciazione, l’Assunzione e l’Incoronazione di Maria prostrata ai piedi del Salvatore.

Sulla destra dall’ingresso vi è il dipinto che ritrae la scena del Concilio di Efeso del 431, in cui si proclama Maria Madre di Dio; a sinistra l’affresco della Dichiarazione dell’Immacolata Concezione, dogma proclamato dal Pontefice Pio IX 1854.

Lungo la navata a destra dell’altare maggiore, in prossimità dell’ingresso alla sacrestia, è collocato l’affresco che narra la Presentazione di Maria al Tempio. L’opera è iscritta all’interno di una struttura architettonica arcuata: Maria, fanciulla, volge lo sguardo verso l’anziano sacerdote che l’accoglie nel tempio dove sarà educata e da dove uscirà ormai fanciulla, promessa a Giuseppe. Questi sarà scelto prodigiosamente per sposare Maria. Solo per Giuseppe, tra tanti altri giovani, fiorirà il rametto di nardo, segno che attraverso di lui si riannoderà la storia che porterà nuovamente la secca radice della famiglia di Jesse, padre del re Davide, a fiorire nella discendenza del Cristo Messia.

Giuseppe Ciotti in questo affresco omaggia anche l’allora sacrista del Santuario, Agostino Tria, e lo immortala nella scena, mentre sbuca sulla destra alle spalle di S. Gioacchino, con lo sguardo rivolto allo spettatore.

Era il 4 novembre 1921, quando il Milite Ignoto veniva tumulato nel sacello posto sull’Altare della Patria. Maria Bergamas in rappresentanza di tutte le madri italiane che avevano perso i propri figli in guerra sceglieva una salma. Un atto che celebrava la memoria della “grande guerra”, in ricordo dei soldati che sacrificarono la propria vita per la patria.

La storia del Milite Ignoto è “narrazione trascendente del dolore di Maria di Nazareth che lascia andare in volontario olocausto il figlio di Dio nato dal suo grembo per riscattare l’umanità intera”.

Ma anche la seconda guerra mondiale ebbe costi altissimi di sangue. L’affresco posto al lato destro dell’altare privilegiato della prodigiosa icona, narra di un giovane soldato esanime che sorretto da due angeli giunge al cospetto di Maria.

Da un lato la vedova in abito da lutto stringe a se la figlioletta orfana, esibendo una fredda medaglia di stagnola che le è stata appuntata sul petto in memoria del sacrificio del suo uomo; dall’altra l’anziano genitore – rimasto a casa a coltivare un pezzo di terra con il badile che stringe nelle mani incallite dalla fatica – piange e prega per un figlio che non vedrà mai più.

L’opera riporta la firma di Giuseppe Ciotti ed è datata 1942. Un omaggio, quello di Ciotti, a tutte le madri e alle mogli laertine che hanno visto i propri figli, i propri mariti partire al fronte e mai più ritornare a casa e che a buon diritto può dirsi il nostro “altare della patria”.

La prima celebrazione in questo luogo Santo si tenne il 3 giugno 1650. Oggi, a distanza di 373 anni, il popolo laertino continua in maniera incessante a ritrovarvisi e - dopo averlo fatto oggetto di speciali cure – torna di nuovo a riporre, spiritualmente, nelle mani di Maria Santissima Mater Domini le proprie intenzioni più intime e segrete, ribadendo alla Madre di Dio – sua specialissima Patrona - la più convinta e filiale devozione.

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