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Il furto al Santuario, grave gesto da stigmatizzare

Il furto della notte scorsa all’interno della cripta del Santuario ci interpella fortemente circa la situazione generale che stiamo attraversando, la quale può aiutarci a capire e a spiegare la radice del gesto, ma non certo a giustificarlo.

La difficoltà economica in cui molte famiglie versano – quanto perplessi continuano a lasciarci certe lungaggini astiose dei responsabili politici che appaiono lontanissimi dai problemi quotidiani della gente! -  può essere la causa del moltiplicarsi di siffatti eventi e non ci può lasciare insensibili dinanzi alla precarietà in cui tante persone sono ridotte a vivere, senza la possibilità di poter costruire un sereno progetto per la esistenza propria e dei propri cari. Resta certo, però, che chiedere è molto diverso dal rubare. E chi ha chiesto – per quanto io possa ricordare – ha ricevuto; se non tutto almeno in parte!

Ecco perché non posso esimermi dallo stigmatizzare un gesto che ha dell’inverosimile, giacché costituisce la profanazione del luogo più santo di tutta la città, l’altare privilegiato innalzato dinanzi alla miracolosa effige della Vergine Santa, Madre del Signore, che in quel posto volle manifestarsi per rincuorare tutti i figli di Dio e che ci richiama costantemente a confidare nella provvidenza del Signore che non lascia inascoltato nessuno dei suoi figli: Figlio di che temi? Fa’ cuore! (la Madonna al pastore Paolo Tria il 23 marzo 1650).

Invito tutti i laertini, per quanto possibile, a recarsi al Santuario nei prossimi giorni per rinnovare alla Beata Vergine Maria Mater Domini i sentimenti della nostra più filiale devozione, invocando l’intercessione della Madonna perché la nostra società possa ritrovare una maggiore serenità e delle migliori condizioni di vita per affrontare le immancabili difficoltà dell’esistenza, ma anche nel contempo per chiedere misericordia e perdono per coloro che hanno compiuto un simile atto, perché se non fossero capaci di affidarsi alla giustizia umana almeno non manchino di invocare il perdono del cielo, per le mani di Colei che è la spes desperantium.

Sac. Domenico L. GIACOVELLI, Delegato vescovile

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